Ristorante Marconi (Sasso Marconi, Bologna)

provato a pranzo a Marzo 2014

Arrivate in anticipo, diciamo un’oretta se la giornata è di sole e la metà se fa brutto, a Sasso Marconi e oltrepassatela seguendo la via che la divide a metà. Seguite l’indicazione per il mausoleo di Guglielmo Marconi e andate a visitarlo.

Magari mentre fate quei pochi chilometri che lo dividono dall’uscita dell’autostrada ascoltate la radio e pensateci. Il mausoleo è una miniatura del Pantheon di Roma con all’interno grandi scritte che inneggiano al genio italico firmate da chi genio non fù. Sopra la villa di Marconi adesso sede della fondazione che porta il suo nome e dietro casa i luoghi dove sviluppò la sua idea.

Adesso è ora di pranzo, tornate indietro per un paio di chilometri e sulla sinistra troverete l’insegna del ristorante Marconi. Mentre guidate, ora, ascoltate Titanic di De Gregori e alla strofa in cui parla del “marconista sulla sua torre” pensate a come è vicina invece la nostra chef con i suoi capelli rossi nell’aria che chiusa in cucina prepara la linea per quello che mangeremo.

Tavoli ampi e spazio abbondante, toni di grigio e luce regolata dalle tapparelle. L’unica cosa che stona, se ci fate caso, è la brutta canaletta elettrica che segue il perimetro delle stanze.

Massimo Mazzucchelli vi accompagnerà nella scelta dei piatti raccontandoveli in maniera affatto pedante, la narrazione seguirà soprattutto l’idea sviluppata in cucina e se, come noi, prenderete uno dei menù degustazione vi alzerete da tavola con la sensazione che avete lasciato qualcosa d’importante in cucina e che quindi dovrete ritornare.

Tre i menù degustazione, il primo è stato selezionato dalla chef a 75 euro, gli altri due – rispettivamente da 55 e da 80 euro – sono di 4 e 7 portate che potrete scegliere a piacere tra quelle in carta.

Noi siamo andati per il menù da sette portate e, finendo con della carne, abbiamo scelto di bere un bianco che avesse una struttura piuttosto importante. Crozes Hermitage di Marc Sorrel del 2007 carico di spezie e complessità con un’acidità persistente.

Il pane non è di molte varietà grazie al cielo, un grissino fatto a dovere ed un panino in stile emiliano ottimo nonostante non ami quel genere di pane. Un terzo pane intarsiato di ciccioli di anatra invece che non basta mai.

Il primo omaggio di cucina è un trittico di Panna cotta alle rape, Crostino con patè di fegatini e un Cucchiaio con spuma di parmigiano che si caratterizza per l’intensità dei tre elementi principali.

Così è anche per il secondo omaggio: del Baccalà mantecato con una salsa all’anice di pregevolissima fattura con la spezia che smorza, sobria e dolce, il sapore e la sapidità del pesce.

Con il primo piatto la chef ci da uno schiaffo, una stilettata. Il Mare d’inverno è gelido al primo cucchiaio e nei successivi è un continuo alternarsi di gelo e mare che non da scampo fino all’ultimo cucchiaio quando l’aringa affumicata spegne tutto senza togliere però lo stupore. Fasolari crudi, cappesante e alghe, gelo di acqua di canocchie. Forse da cambiare ci sarebbe la stoviglia che così raccolta a mio parere non valorizza il cibo e quello che vuol rappresentare.

Poi quasi a volerci far riappacificare con le nostre bocche arriva uno Scampo crudo, funghi e ricotta al ginepro accompagnato da un brodo di porcini tiepido che ci viene versato in tavola quasi privo di sale per bilanciare la ricotta molto intensa. Masticate tutto con cura e vi troverete in bocca un piatto estremamente armonico dove la terra umida del brodo sarà dolce di mare.

A seguire Granseola, uovo e arachide, un piatto da rompere e mescolare ricco e complesso. Grasso ed elegante con le note del limone e delle arachidi che prolungano il piacere. I crostini di pane vivificano le consistenze.

Come piatto che ci fa dire addio agli antipasti del Capriolo, fieno e grano. La salsa alla base è di fieno e camomilla con quest’ultima che si sente importante ma senza prevalere sugli altri agresti aromi caratteristici. Carne appena scottata dolce e sapida con i sentori dati dalla “caramellizzazione degli zuccheri” utilizzando il tormentone del Corelli televisivo.

Poi un piatto storico della cuoca romagnola il Maccherone ripieno d’anguilla affumicata, ostrica cruda e spinaci. Anche in questo caso un piatto che trova il suo bilanciamento a posteriori. La pasta quasi al chiodo con un ripieno cremoso e intensissimo che viene addomesticato dalla mineralità verde della crema di spinaci e da quella salina e robusta del battuto di ostrica che arriva più lenta rispetto al resto ma che in crescendo farà sentire la sua necessaria prepotenza.

A sorpresa il maître ci offre, al momento della scelta eravamo indecisi se metterlo nella lista dei sette, l’Agnello in testa. Graditissimo ed intenso per profumi e sapori ovini ma allo stesso tempo espressione di un’eleganza pensata e voluta fortemente per questa parte spesso snobbata. Guancia brasata e gelatinosa senza essere spappolata, lingua grigliata e consistente, crema di cervella con le sue caratteristiche minerali. Questi ultimi mi sono sembrati la parte migliore intensi e non adatti a tutti eppure nobilitati da tanto ardito sprezzo del pericolo (mi rifaccio al linguaggio del mausoleo).

Per finire il piatto che forse mi ha lasciato più dubbioso, il Piccione, pampepato salato e patata dolce. Cottura ottima e animale di grande carne a mio giudizio servito ad una temperatura leggermente troppo bassa che rinverdiva in me il ricordo di carni crude che non amo particolarmente. Diventa più armonico con il panpepato, offerto forse in maniera troppo generosa sul piatto, e soprattutto con la salsa ricavata dalle interiora. Di arancia caramellata invece ne avrei voluto un poco di più con il suo carico fresco e intenso.

Prima del dolce ci viene offerta un’ottima Gelatina di limone con caramello alla liquirizia e caffè che per certi versi mi riporta al dolce mangiato al Marin di Genova e le considerazioni fatte. Dalla prima all’ultima cucchiaiata non mi sono potuto togliere dalla testa che chi sta in cucina è mia coeva e mi sono immaginato, non ne ho certezza, il suo tentativo di proporre una divertente e fine riproposizione del gelato al limone con stecco alla liquirizia dei giorni d’estate.

Il dolce è un altro piatto fondamentale della chef, Ananas in raviolo con ricotta, caffè, uvetta e pinoli che pulisce tutto e freschissimo consegna il pasto al passato. Non nel senso che è stato un pasto da dimenticare ma ne segna purtroppo la fine. Dolce e grasso, acidità e amaro del caffè non trovano sosta, “Massimo per cortesia me ne può portare altri due”.

Dolcetti finale di gran livello con i baci di dama che svettano.

Mia moglie voleva provare uno chef donna pensando che potesse essere più “dolce” e delicata. Più sensibile diceva soprappensiero e innocentemente in un ripetersi dettato più dalla voglia di far conversazione che da pensieri radicati in lei. Quando siamo venuti via le ho chiesto cosa ne pensasse della cucina al femminile e mi ha risposto che non esiste. Che esistono solo bravi e cattivi chef con tutte le sfumature del caso. E poi chef che riescono a stupirti sempre e altri che lo fanno in qualche piatto.

Qui abbiamo trovato una cucina più giocata sull’essenziale, sul togliere, che sull’orpello anche se in alcuni piatti si comprende la necessità di aggiungere per raggiungere il risultato voluto in cucina, piatti giocati sulle materie e sulla concentrazione.

Ristorante Marconi
chef Aurora Mazzucchelli
Via Porrettana n.291, 40037 Sasso Marconi (BO)
Tel. +39 051 846216
http://www.ristorantemarconi.it

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