Avevo deciso che certe cose, come l’intervento sui grandi dibattiti in corso, le avrei evitate. Per timidezza personale, per inesperienza e perché il mio scrivere non è fluido come quello di chi già da anni lo fa su giornali e siti.
E anche perché manco di esercizio; rileggendo le cose scritte per lavoro o per divertimento in passato mi rendo conto (sai che scoperta) delle mie gravi lacune. Ricercare e utilizzare, creare qualcosa che sia utile e ben scritto allo stesso tempo se è da troppo che non si fa diventa difficile.
Ma ieri discutendo con alcuni amici è venuto fuori un loro schierarsi contro le “orecchie” sulle pagine dei libri. Dicevano: “Meglio il segnalibro che non sciupa”.
A me invece pare che le orecchie accentuino nel libro il senso del vissuto scandendo i punti dove mi sono fermato. Anche il ritmo e i miei tempi. Orecchie fitte poco tempo a disposizione e libro molto frammentato; orecchie rade i fine settimana e i dopocena, vacanze e ore di pausa.
Poi ho tutta una mia simbologia dell’orecchio. Se la piega è in alto vuol dire che sono a inizio pagina, se è in basso che ho superato la metà; cerco poi di inclinare l’angolo verso la riga o la parola a cui sono arrivato. Insomma le orecchie per me sono indispensabili.
I menù degustazione sono come le orecchie fatte alle pagine dei libri.
Capisco che Marco Bolasco, che ha redatto e diretto (e dirige) guide e quindi conosce bene – frequenta e immagino frequenti ancora – ristoranti grandi e piccoli con una certa regolarità, possa non essere più interessato ai lunghi percorsi scelti dallo chef. Già conosce il pensiero culinario e il percorso che porta a creare piatti nuovi, i vari stili. Nelle osterie poi generalmente questo problema non si pone.
Per me semplice appassionato che non ha modo di andare con regolarità in certi posti invece il menù degustazione è necessario. Certamente meglio quando mi viene dato modo di fare variazioni seguendo anche il mio gusto sostituendo e aggiungendo piatti. Variazioni fatte nel tentativo di non stravolgere nulla ma, per esempio, io che non amo i dolci al cioccolato a fine pasto e le carni di esseri terrestri alla tartara, che invece da qualche anno vanno tanto, poterle sostituire con qualcosa di piacevole per me.
Il menù degustazione mi è necessario perché è l’unico modo che io ho di avere una sintesi dello stile e delle idee e spesso della storia di chi ha pensato quei piatti.
Sintesi ho detto, per rimanere sul tema libresco è come se George Orwell mi dicesse di leggere una sintesi scritta da lui della Fattoria degli animali. Anzi meglio è come se Walt Whitman mi dicesse “Leggiti queste dieci poesie che ho scelto io da Foglie d’erba perché penso rappresentino al meglio il mio scrivere”.
Certo che non è la stessa cosa che scegliere quelle che a me piacciono di più. Ma quello lo posso fare soltanto dopo aver letto tutto il libro – magari più volte – e adesso, purtroppo, non ne ho modo.