Eva Perasso ha pubblicato il 26 gennaio e modificato il 28 un interessante articolo su Social del Corriere della Sera intitolato Il cibo in Rete. Tra «foodstagram» e blogger dove partendo dall’esplosione della moda di fotografare ovunque tutti i piatti che ci vengono proposti, dal tramezzino in autostrada alla purea (medicamentosa) di Rebuchon, arriva ad affrontare un tema caldo. Tratta di disturbo a chi è in sala, privacy, spionaggio industriale e dell’influenza che i food blogger, più o meno, hanno sui loro lettori.
L’articolo mi trova d’accordo praticamente su tutto – ed immagino Eva che salta felice nel suo salotto – disturbare i clienti non si fa, non ci si alza, non si usa il flash. Si usano macchinette senza otturatore e s’inquadra solo il cibo, non i vicini di tavolo.
Però, come ho detto prima, tira fuori l’argomento dello “spionaggio industriale”. E quello mi fa innervosire.
Mica con la Perasso ma con quella mentalità vuota di chi pensa che una foto gli porti via l’anima del piatto o del locale. Adrià nel libro “La cucina reinventata” elogia la diffusione come strumento che gli garantisce il riconoscimento su una tecnica o un piatto e di conseguenza un guadagno.
Ma forse è un problema mio. Nel mio lavoro ho colleghi che non lasciano i loro materiali a nessuno; li hanno fatti loro e li possono utilizzare soltanto loro. Io lascio sempre tutto (in formato pdf e senza la possibilità di copia e incolla sia ben chiaro) tanto cosa potrebbe succedere? Come li uso io non li userà nessun altro, qualcuno li sfrutterà meglio e tanti peggio, ma come me nessuno. Ma chi li avrà sarà contento, se li potrà leggere e studiare, prendere spunto e penserà a me come ad un generoso, disposto alla collaborazione e al confronto.
Potrò fare la foto e copiare un impiattamento, io collega cattivo che ti voglio portar via clienti, ma alla fine farò un piatto diverso. Forse migliore o forse peggiore.
Se le foto non me le fai fare (nel rispetto degli altri presenti in sala), a me che le voglio fare per ricordarmi cosa ho mangiato e far paragoni e mostrarlo agli amici e magari scriverne in rete, mi viene il dubbio. Se non me le lasci fare è perché pensi che ci sia qualcosa di sbagliato in quello che mi porti in tavola? Temi il mio giudizio e di non fare bene il tuo lavoro? Sei una persona cattiva che non mi fa giocare il mio gioco?
O forse sei timoroso che io sia effettivamente uno che scrive di cibo (ma quanto è brutto food blogger) che ti giudicherà. Potrai dire che ancora non ho pagato e quindi quello che c’è sul piatto è tuo ma poi il giudizio, e magari possiamo discutere sulle competenze di chi giudica, arriva comunque.
O forse sei come me che mi nascondo dietro ad un disegno ed un nome falso.
Che fare? Lasciare la rete libera di raccontarti o restare chiuso nella tua boccia di vetro? Tanto non si sfugge, non potremo rimanere “impuniti” per sempre.
Lo so che l’articolo è di gennaio e sono passati molti mesi. L’ho visto ora e ora lo commento (e rileggendolo nemmeno troppo bene). Abbiate pazienza.
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