Sangue, Ossa e Burro

Le autobiografie hanno sempre un sapore incredibile, hanno più sugo degli altri libri. Anzi no, esistono libri sapidi e che lasciano l’acquolina in bocca, che ne vorremmo leggere ancora e se sono storie vere o meno non ha nessuna importanza.

Le autobiografie non sono ne migliori ne peggiori ma dietro c’è qualcuno che si è fatto violenza, o lo ha fatto per terapia, e che racconta pezzi di sé più o meno convenienti ma che comunque hanno sempre una funzione. Un senso ed un significato.

Io chi fosse Gabrielle Hamilton, cosa fosse il Prune non lo sapevo (o meglio ne avevo sentito parlare soltanto) ma adesso che ho terminato il libro son contento di averla incontrata.

Le quattrocento pagine scorrono che è una meraviglia e arrivare in fondo è facilissimo.

La scrittura è piena e coinvolgente, vividissima e racconta di questa relazione stretta tra cibo e memorie. Questa cosa non è soltanto esplicitata dalla chef ma è palpabile ad ogni pagina come se lo avesse scritto nel DNA, come se la cucina ed il cibo fossero dei buchi neri alla cui gravità non si può scappare.

Il Sangue è quello della famiglia da cui nasce, le Ossa sono quelle che si fa nella vita e nel lavoro di ricerca di sé stessa, il Burro sono la realizzazione professionale ed i figli.

E forse meno carnale e più morbida e grassa l’ultima parte è quella che mi ha appassionato meno.

Una cosa a cui dovete fare attenzione sono i tanti refusi e le imprecisioni nella traduzione che in certi casi danno una sorta di sfasamento nei lettori più accorti.

Sangue, Ossa e Burro
L’educazione involontaria di uno chef
Gabrielle Hamilton
Bompiani, 2012
ISBN: 978 88 452 7151 9

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