L’aspetto pedagogico del ristoratore

Quando mi capita di andare a pranzo fuori sono estremamente felice. Molto più che a cena. Perché nel pranzo al ristorante, sia quello fatto per lavoro che quello fatto per puro piacere (e non è detto che il primo per una fortunata combinazione non si trasformi nel secondo), c’è almeno nel mio caso la sensazione dell’evento raro.

A volte capita di essere soli, e anche questo può essere una fortuna, e di tornare in un posto dove non si tornava da un po’ di tempo, di essere riconosciuti dal proprietario (che nel mio caso è anche lo chef) e capita che lui si ricordi dei vostri complimenti e che voi apprezzate il mangiar bene e chi si applica nel difficile compito di rimettere le mani nella tradizione nel tentativo di dare una sua personalissima interpretazione dei piatti che da centinaia di anni fanno da biglietto da visita alle valli nelle quali ha la fortuna di offrire i suoi servizi. E siete soli nel ristorante e lui ha voglia di parlare e farvi provare cose.

Voi che fareste? Vi affidate a lui e aspettate.

Vi porta Tortelli di patate con ragù di maiale e Tagliata di chianina con fagioli. Voi rimanete un poco basiti per così tanta, ottima, normalità. Poi mangiate e sentite che è tutto molto buono. Tortelli che accompagnano la tendenza dolce delle patate alla dolcezza e intensità del ragù, chianina saporita e ottimamente al sangue che offre la giusta resistenza (è chianina ed in quanto bestia da lavoro più coriacea) e si sposa ottimamente a fagioli cremosi e saporiti di olio e pepe. Il tutto in dosi più che generose.

E nel frattempo vi mettete a parlare. “Ti volevo far provare questi che sono i piatti di punta per il menù del pranzo. Sai a pranzo spesso c’è questo vuoto e volevo proporre qualcosa per gli scettici ad un prezzo giusto, per quelli che mangiano solo carne ai ferri. Per attirare clienti e perché magari poi vedendo il menù s’incuriosiscono e provano le altre cose che propongo. Le quantità sono giuste? Che ne pensi? Credi che il prezzo che chiedo vada bene?”. Tutto giusto. Dimentico le cose che lui sperimenta e mi applico in questa mia veste di cliente/consulente/conoscente.

Qui finisce il racconto e inizia la riflessione al di fuori delle crisi e delle possibilità di ciascuno.

Amo profondamente la tradizione non fosse altro che in ogni focolare c’è una tradizione diversa, che desidero che rimangano tutte intatte e ferme il più tempo possibile in modo da poterne provare in quantità.

Ma intanto amo anche chi prova, chi segue un maestro o una tradizione per poi tradirli nel tentativo di proporre qualcosa di nuovo ma comprensibile. Capisco profondamente Bottura quando spera che alcuni dei suoi piatti diventino tradizione e quando afferma che non sta’ a noi dire che i nostri prodotti sono i più buoni al mondo, che devono essere gli altri a dirlo e che noi dobbiamo invece cercare dagli altri e fare di tutto per lasciarci emozionare da ciò che ci è offerto.

Chi cucina in luoghi poco avvezzi ai rimaneggiamenti ha un ruolo fondamentale. Ci sono posti, e penso siano la maggior parte, dove le persone vivono esclusivamente di ristoranti dove con venti/venticinque euro mangiano tutto quello che vogliono e bevono litri e litri di vino sfuso, magari che propongono insieme anche la pizza.

Per carità nulla da dire, chi – come me – non prova piacere di quando in quando (qualcosa di più) a ingozzarsi di cibo, però questo diventa un problema quando non si riesce o non si vuole provare altro. Quando, come un lattante che per mesi si nutre soltanto di latte,  si finisce col mangiare solo e soltanto le solite cose e facciamo facce schifate quando proviamo cose nuove. I romani mi pareva dicessero una cosa del tipo “Non ti fidare di chi possiede un solo libro” in riferimento a quello dei cristiani.

Ecco quindi il ruolo che dovrebbero avere alcuni ristoratori, stellati e non, quello di attrarre e di accompagnare i clienti in un percorso di scoperta di sapori e forme. Ma questo costa sacrificio e fatica, riesce a chi scopre di avere spalle più larghe di quello che pensava. Perché spesso chi si ritrova a lavorare al pubblico dimentica questa parte e pensa soltanto alla strisciata che il registratore di cassa sputerà fuori alla chiusura. Mica è un male pensare al guadagno il problema è sempre e solo il “soltanto” che spesso si antepone a tutto il resto. Ma è frutto della cultura diffusa.

Ricoprire questo ruolo richiede estrema umiltà. Anni fa durante una conversazione con un importante pittore gli chiesi: “Apprezzo molto il suo lavoro e mi piace moltissimo, però non lo capisco, mi mancano le basi. Potrebbe spiegarmelo?”. Lui rispose in maniera brusca “Sai cosa sono i Fauves? Sai cos’è l’arte informale? Sai cos’è la Sezession? E allora cosa vuoi capirci?” e se ne andò. Forse l’avrò posta male io la domanda o era semplicemente nervoso, tornai a casa ignorante come prima e carico di astio nei confronti di certi personaggi. Col senno di poi il rancore è restato soltanto verso quel personaggio, ho studiato le cose che non conoscevo ma, cosa più importante, continuo a domandare spiegazioni quando non capisco.

Allora capisco il mio amico ristoratore quando decide, lui che forse non sarà mai stellato ma che con alcuni stellati ragiona e studia, di inserire in carta buonissimi piatti che non lasciano nulla alla fantasia ma ancora di più apprezzo l’insistere con le sue proposte nella speranza che un giorno, forse, i suoi concittadini riescano ad apprezzarlo e a capire il gran lavoro e lo studio che quotidianamente fa.

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